Le potenzialità della canapa da fibra ‘schiacciate’ dall’assenza di una filiera organizzata capace di dare stabilità produttiva e redditività alle imprese

Dicembre 2016

DALLA REDAZIONE – Alimentazione, cosmesi, industria, artigianato, settore energetico. Questi sono solo alcuni degli ambiti produttivi dove può essere impiegata la canapa, una pianta che è tornata alla ribalta a fine novembre grazie all’approvazione, in via definitiva al Senato, della legge che ne promuove la filiera.

Il provvedimento identifica le varietà, semplifica le procedure ed elimina le autorizzazioni prima necessarie per la sua coltivazione. Le premesse sembrano buone. 

“L’anno scorso ho seminato 4 ettari di canapa ma, dopo la raccolta a settembre di 15 quintali di canapulo, nessuno me li ha pagati – rileva intanto Andrea Mongiorgi, socio dell’Azienda agricola Mongiorgi di Castelfranco Emilia in provincia di Modena che segue allevamento di bovini, agriturismo e da circa otto anni anche coltivazione di canapa. – Quest’anno a marzo ne ho seminati uno, vediamo cosa succederà. Per il prossimo anno aspetto”. Questa legge, però, potrebbe migliorare le cose.

“È una legge che non dà garanzie. Noi produttori la canapa di qualità la sappiamo fare, ma poi nessuno porta avanti i progetti e questo è un limite e poi anche la politica è lenta. Il mondo industriale, poi, non vuole investire, non ha il coraggio che hanno i produttori. Industria e politica dovrebbero fare la loro parte pensando alla trasformazione e alla vendita. Vorremmo provare nuove produzioni ma occorre nuova tecnologia nelle attrezzature, ingegno che hanno avuto, invece, i tanti agricoltori che hanno trasformato macchine vecchie per la raccolta di una pianta che ne vuole di nuove”.

Non è solo un problema di adeguare le macchine alla coltura. “Noi siamo autodidatti. Ci vorrebbero fondi, investimenti per la ricerca agronomica e industriale. Ogni agricoltore ha la sua esperienza, le associazioni sono diverse e non c’è alleanza. Il prodotto è eccezionale ma mancano regole fisse per la produzione, la trasformazione e la vendita del prodotto. La filiera è tutta da costruire. Insomma, siamo allo sbaraglio”.

Eppure, grazie alla canapa potremmo sostituire tanti prodotti che oggi contengono petrolio e poi, a detta dei produttori, è un pianta che non necessita di concime, di irrigazione se non al momento della semina, non vuole antiparassitari e diserbanti.
È una delle piante più produttive in massa vegetale di tutta la zona temperata: una coltivazione della durata di tre mesi e mezzo produce una biomassa quattro volte maggiore di quella prodotta dalla stessa superficie di bosco in un anno. Grazie alla sua velocissima crescita, poi, sottrae la luce e soffoca tutte le altre erbe presenti sul terreno, lo libera da tutte le infestanti meglio di quanto non sappiano fare i diserbanti e, grazie alle sue radici, ripulisce il terreno dai metalli pesanti. 
“Certo, quando ci sono progetti interessanti noi aderiamo – conclude Mongiorgi – ma vorremmo almeno coprire i costi e fino ad ora questo non è sempre avvenuto”.

C’è curiosità, invece, in casa di Daniele Morini, amministratore della Caci, una società agricola di Imola che coltiva 30 ettari di noceti, 80 ettari di vigneti e da due anni anche 5 ettari di canapa da seme. 

“Per noi è un’esperienza nuova e ancora non abbiamo visto dei grossi risultati, ma ci siamo avvicinati alla canapa perché c’è una grossa crisi nel settore cerealicolo, i prezzi sono bassi e quindi vogliamo provare alternative. Non sappiamo gli sviluppi, sappiamo solo che può essere un’opportunità. Le aziende cementiere sono molto interessate a queste colture e quindi vuol dire che c’è un interesse anche a livello mondiale. I semi che noi raccogliamo li mandiamo all’azienda cementiera di Cesena, li purificano e, a loro volta, li rivendono. L’azienda a noi dà un minimo garantito per lo sviluppo della coltura. È un bel vantaggio”. E anche la nuova legge porterà vantaggi?
“Se l’hanno approvata è perché nell’aria c’era qualcosa. Aspettiamo per vedere cosa succederà”. Poi ci sono le esperienze e i progetti. È del 2007, ad esempio, la costituzione del Consorzio produttori di canapa con sede a Castelfranco Emilia in provincia di Modena. La produzione, lavorazione, trasformazione e commercializzazione dei circa 20 ettari coltivati nei terreni di Modena, Castelfranco e Nonantola in quegli anni, dovevano servire per ricavare pellets per stufe e materiale per pannelli isolanti termici fonoassorbenti per la bioedilizia. L’obiettivo era quello di sostenere la coltivazione di piante energetiche per la produzione di biomasse, come fonte di reddito alternativo per l’imprenditore agricolo e generare energia rinnovabile e pulita.

Un’esperienza che però è stata interrotta – racconta Valter Reggiani, vicepresidente del Consorzio e consulente della Coop Italia Canapa. – C’era bisogno di reimpostare le finalità. Abbiamo preso consapevolezza della situazione e abbiamo capito che lavorare solo la paglia non dava un reddito adeguato per il coltivatore. Occorreva seguire anche il seme e il fiore e verificare il mercato per la vendita. Oggi siamo più preparati. Quest’anno, infatti, abbiamo ripreso il progetto e abbiamo seminato 27 ettari di canapa a Nonantola e nella bassa modenese.
L’obiettivo è raccogliere la paglia e il seme. Quest’ultimo sarà destinato alla risemina, mentre la paglia che stiamo raccogliendo in questi giorni, in ritardo causa il maltempo, la stiamo imballando per metterla in condizione poi di essere lavorata per la bioedilizia. In futuro, chissà, potremmo utilizzarla per la produzione di energia elettrica o biogas. Pensate che la canapa assorbe carbonio tre volte tanto la foresta amazzonica, con il vantaggio che tutti gli anni si rinnova”.

Anche a lui chiediamo un parere sulla nuova legge. “Forse qualcosa può aiutare, il produttore è più libero dai vincoli ma servono i finanziamenti. Aspettiamo e vediamo”. Insomma, il produttore non può produrre la canapa se non c’è un impianto che la può lavorare, e non si può far lavorare l’impianto se i contadini non lo riforniscono della materia. Per poter seminare la canapa, poi, è necessario che nella zona ci sia qualcuno disposto a ritirare il raccolto e, salvo limitate eccezioni, manca quasi ovunque in Italia questa condizione. In sostanza, perché la coltivazione diventi possibile, è necessario che siano state prima realizzate le diverse filiere produttive. D’altra parte queste difficilmente potranno nascere finché non ci saranno sul mercato le materie prime della canapa da lavorare.

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