“Siamo biodinamici perché è un metodo che rigenera la terra”

noi siamo agricoltura biodinamica

Erika Angelini

FERRARA – Lui è Paolo Pistis, si occupa di agricoltura biodinamica da trent’anni come produttore, apicoltore e formatore. Lei è Elena Zaramella un architetto che ha studiato il rapporto tra spazio abitato urbano e agricoltura, appassionandosi a un tipo di produzione agricola naturale e rispettosa dell’ambiente. Insieme hanno deciso di aprire un’azienda agricola biodinamica a Fossanova San Biagio (Fe), cinque ettari dove coltivano mele, ortaggi ed erbe aromatiche destinati alla vendita diretta e ai GAS (Gruppi di Acquisto Solidali).

“L’agricoltura biodinamica – spiega Elena – utilizza processi, prodotti e sostanze naturali come erbe e letame che subiscono un processo di fermentazione, per rigenerare il suolo e rendere le piante più forti e vitali.

Un’azienda biodinamica crea un vero e proprio ecosistema, dove ci sono più microrganismi e insetti, salvaguardando la salute dell’ambiente e dell’uomo. Adesso gli agricoltori, anche quelli che praticano agricoltura tradizionale, sono molto più attenti all’utilizzo di prodotti chimici, che però continuano a “sterilizzare” il suolo, eliminando non solo ciò che minaccia le piante, ma impoverendo il terreno. Il nostro obiettivo non è solo quello di produrre, ma di trasformare l’azienda in un centro didattico per far conoscere modi diversi di fare agricoltura, biodinamica in primis ma anche biologica, organica e rigenerativa e poi la permacoltura, un metodo di gestione del paesaggio che rispetta gli ecosistemi naturali”. L’approccio biodinamico, dunque, prevede un totale rispetto e una vera e propria integrazione con l’ambiente, anche a dispetto di attacchi pesanti da parte di insetti come la cimice asiatica.

“Per me – ribadisce Paolo – non esiste un altro modo di produrre, perché l’agricoltura tradizionale ha provocato e sta provocando danni, anche se gli agricoltori stanno iniziando a produrre in modo più sostenibile. Prendiamo la cimice asiatica, un insetto introdotto dall’uomo in un ambiente dove non esisteva: la prima cosa che non bisogna fare è cercare un nuovo principio attivo per combatterla o un insetto antagonista. Perché magari il problema verrebbe apparentemente risolto, ma un ecosistema alterato diventa debole e imprevedibile. Piuttosto bisogna lavorare su repellenti naturali, tinture madri di aglio, ad esempio, o sapone di potassio. Trattare in maniera massiccia con molecole aggressive è, a mio avviso, un grosso errore, un errore che l’uomo sta già pagando caro a livello di salute e qualità di vita nelle nostre campagne”.

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